Salta al contenuto principale
  1. Scrivere/
  2. Articoli/

Essere sedentari in pandemia

·1406 parole·7 minuti

Quali relazioni ci sono tra uno stile di vita sedentario e il nuovo coronavirus?

Questo articolo era destinato a una rubrica che non ha mai visto la luce e che doveva intitolarsi Divano sport - notizie sportive che non fanno sudare. L’idea era nata nata per offrire quelle curiosità frivole, da salotto, sugli sport e l’attività fisica e il nome nasceva proprio dalle resistenze ai tentativi di muoversi. Purtroppo la rassegna ha trovato nei vari lockdown degli ultimi mesi un sinistro alleato che ne ha decretato la morte prematura per senso del pudore: in una situazione pre-pandemia Divano Sport poteva avere un sapore divertente, ma ora corre il rischio di essere inquietante.

Stare a casa ha smesso di voler dire rilassarsi perché, nell’ultimo anno, la maggior parte delle persone è rimasta bloccata a casa; il rischio poi che questa possibilità succeda di nuovo - e in parte succede quando cambiano colore le regioni, spaventa alcune persone almeno quanto la paura di essere contagiati dal virus che ha causato tutto quanto.

Potenzialmente Divano Sport avrebbe potuto avere un gran successo: secondo il CENSIS, Centro Studi Investimenti Sociali, nel 2014 erano 24 milioni gli italiani sedentari, più di un terzo del totale della popolazione e chissà quanti ce ne sono adesso che le palestre, gli impianti di sci, le piscine, le associazioni sportive sono chiusi e molta gente è costretta allo smartworki.Questo tocco di italianità all’espressione corretta in inglese smart working serve a identificare tutte le forme di lavoro agile o telelavoro o lavoro da remoto che si sono create a partire da marzo 2020 con il primo lockdown. Con le limitazioni dovute al coronavirus, lo smart working è associato al lavorare da casa, spesso trasportando l’idea stessa di ufficio in casa, quando invece significa lavorare potenzialmente da ogni luogo (ufficio, casa, ma anche co-working, bar, biblioteche, al parco…), più legato al raggiugimento di obiettivi che al monte orario, consentendo al lavoratore un’organizzazione più comoda della sua giornata.

Nel prossimo futuro l’inattività avrà probabilmente dei costi sulla salute fisica delle persone e quasi certamente i dati poco brillanti sulla sedentarietà potrebbero peggiorare. Per contrastare questo declino, la già defunta Divano Sport - che batte nei nostri cuori come il Ministero dello Sport del governo Draghi - vi invita a muovervi e uscire, chiaramente seguendo le norme di sicurezza prescritte.

Come si definisce la sedentarietà? #

Ad aprile 2020 Omar Gatti di Bikeitalia.it ha pubblicato il Piano strategico per la riduzione della sedentarietà, articolato in sette capitoli, che già nella premessa spiega la sua necessità e l’attualità: circa il 98% delle persone morte a causa della Covid-19 hanno due o tre patologie croniche legate probabilmente a uno stile di vita sedentario. In aggiunta

il totale dei costi per l’inattività fisica per il Sistema Sanitario Nazionale è stimato intorno ai 12,1 miliardi di euro all’anno, pari all’8,9% della spesa totale.

    Piano strategico per la riduzione della sedentarietà, Omar Gatti, Bikeitalia.it, pag. 5.

Ragionando all’inverso significa che l’attività fisica riduce i costi della sanità e le possibilità di ammalarsi, ma perché il messaggio venga recepito dalla popolazione sono necessarie altre spiegazioni e soprattutto uno sforzo in più da parte di chi si interessa della salute dei cittadini.

Definire i termini della questione è il primo passo per offrire le giuste spiegazioni: cos’è l’inattività fisica? E la sedentarietà? Che differenza c’è tra sport e attività fisica? Il tempo passato in condizione di non movimento (escluso il sonno) è l’inattività che, se non viene alternato con il movimento fisico, porta uno stile di vita sedentario. Uno stato di buona salute è il giusto equilibrio tra questi due momenti e non è necessario praticare sport per fare attività fisica. Anche alcune mansioni casalinghe, passeggiare con il cane, camminare, possono essere considerati esercizio fisico. Invece un soggetto sedentario è colui che costantemente, e in modo volontario e autonomo, non riesce a soddisfare gli obiettivi minimi di movimento prescritti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che sono, per gli adulti, di svolgere almeno 150 minuti di attività fisica aerobica d’intensità moderata oppure un minimo di 75 minuti di attività vigorosa più esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari 2 o più volte a settimana.

Per valutare se una persona è attiva, il piano di Bikeitalia.it propone il MET (MetabolicEquivalenT), l’unità di misura che esprime la quantità di lavoro muscolare. 1 MET equivale al lavoro muscolare in condizioni di riposo, pari a un consumo di ossigeno di circa 3,5ml/kg/min in soggetti sani. Per dare un’idea, dormire vale 0,9; stare seduto 1,0 e stare in piedi inattivo 1,1. Pulire i pavimenti 3,6; stirare 3,5-4,2; rifare i letti 5,0. Camminare in piano (4 km/ora) 2,5-3,5; andare in bicicletta (22 km/ora) 11,1; correre (12 km/ora) 15.

Per comodità, ma con un certo margine di errore perché non viene considerata l’intensità del movimento, un altro modo per valutare il livello di attività di una persona è conteggiare il suo numero di passi quotidiani: sotto i 5000 si è considerati inattivi, fino a 12.500 passi che invece sono indice di molta attività. Considerando che il passo cambia in base all’altezza delle persone, si può dire che per farne 10000, ovvero per essere considerati attivi, bisognerebbe camminare tra i 6 e gli 8 chilometri al giorno.

* Fonte foto.

Quanto è diffusa la sedentarietà? #### Diverse ricerche riportate nel rapporto offrono un quadro completo della diffusione della sedentarietà nel mondo. Vengono considerate cause, costi sociali, economici, ambientali, numeri e tipologie di malattie correlate. In sintesi il 25% della popolazione adulta mondiale, pari a 1,4 miliardi di persone, è potenzialmente a rischio di patologie legate alla sedentarietà. La maggior parte sono concentrate nella parte di mondo più ricco e industrializzato, ma l’America Latina e i Caraibi sono in assoluto i luoghi dove si concentrano più persone sedentarie. Le donne, a causa di ragioni religiose e sociali, un inserimento nel mondo del lavoro più difficile, sono più inattive degli uomini.

In Italia la situazione dovrebbe essere considerata un’emergenza e si presenta così:

  • 50% fisicamente attivi;
  • 23% parzialmente attivo;
  • 17% sedentario;

con molte differenze di carattere sociale e su scala regionale: chi ha un livello alto di istruzione è più attivo, come chi abita al Nord.

Dal rapporto emergono in maniera chiara alcuni problemi sulla percezione dell’attività fisica nella popolazione italiana: troppo spesso confusa con lo sport che ha in sé una componente agonistica e rivolta a obiettivi oggettivi che, se falliti, portano a demotivazione e poca costanza. Il benessere è qualcosa di personale che non riguarda la competizione che invece sembra essere l’unica ragione che spinge le persone a muoversi. Inoltre, il confronto tra pari età di alcuni paesi del Nord Europa, la Danimarca per esempio, vede l’Italia indietro: gli ultrasessantenni danesi sono decisamente più attivi rispetto a quelli italiani. La parte sorprendente è che succede in un Paese che di certo non gode del clima temperato e favorevole che caratterizza alcune zone dell’Italia meridionale per gran parte dell’anno.

Confrontare i dati sulla Covid-19 tra paesi diversi pone dei rischi perché le differenze che bisogna tenere in considerazione non necessariamente legate alla malattia possono essere tante. Per esempio, è importante dire che i cittadini italiani (circa 60 milioni) sono praticamente 10 volte i danesi (meno di 6 milioni) e questo, in termini di spesa e politiche, ha sicuramente un peso; poi, in tempi di distanziamento sociale anche la densità può essere importante: in un chilometro quadrato 206 italiani stanno più stretti che 137 danesi.

Anche se può sembrare paradossale, la responsabilità personale della propria salute non basta alle persone per decidere di fare attività motoria. Altre sembrano essere le priorità e gli ostacoli, spesso fittizi. Per avere una popolazione più sana, serve creare le condizioni favorevoli perché lo diventi. Sicuramente ci vuole un cambio di abitudini, da guidare grazie a un’educazione rispetto all’uso del proprio tempo, anche quando è estremamente dilatato e noioso.

Quando poi si parla di cambiamenti così profondi che riguardano le vite delle persone, tante possono essere le resistenze da affrontare, legate a bias cognitivi di comodo. Guardando agli storici delle campagne di promozione della salute, i risultati migliori sono stati ottenuti quando hanno saputo ingaggiare più livelli: psico-sociale, comportamentale, fisico-clinico.


Bibliografia #


La foto di copertina è di Zhang Kenny presa da Unsplash.